mercoledì 1 settembre 2021

Fracchia la belva umana

Visto che nel 2021 compie qurant'anni e che ho un debole per Lino Banfi che in questo lungometraggio interpreta il commissario Auricchio, uno dei protagonisti della storia, nella nota sottostante voglio parlare di uno dei film comici più divertenti della storia del cinema italiano.


Fracchia la belva umana, capolavoro della commedia all’italiana anni ‘80, è un film esilarante e divertente, uscito nelle sale cinematografiche italiane nel 1981, con delle trovate originali e un susseguirsi di situazioni comiche e in alcuni casi satiriche.
Diretta da Neri Parenti, la pellicola presenta un cast che comprende i più famosi interpreti in voga in quel periodo.
Troviamo infatti Paolo Villaggio nel ruolo di Fracchia e della Belva suo sosia, Anna Mazzamauro nel ruolo della signorina Corvino, Gianni Agus che interpreta il titolare dell’azienda in cui lavora Fracchia e Lino Banfi che fa la parte del commissario di polizia.
Sono presenti anche Massimo Boldi e Francesco Salvi tutti e due giovanissimi e alle loro prime apparizioni che interpretano i componenti della banda della Belva e Gigi Reder, più noto per aver prestato il volto al Ragionier Filini, che in questo lungometraggio appare in piccole scene dove è la madre della Belva.
Tema centrale del film è lo scambio di persona, favorito dalla perfetta somiglianza, tra Fracchia, normale e pauroso impiegatuccio in una fabbrica dolciaria e uomo costantemente frustrato e umiliato nella vita e sul lavoro, e la belva umana, spaventoso pluriomicida ricercato da tutte le polizie del mondo per i suoi numerosi crimini.
Al povero Fracchia dopo numerosi arresti, fra cui quello passato alla storia del cinema che avviene nel corso di una cena con la signorina Corvino collega di lavoro di cui Fracchia è segretamente innamorato interpretata magistralmente da Anna Mazzamauro, viene infine concesso un lasciapassare che gli dovrebbe permettere di evitare lo scambio con la Belva.
Quest’ultimo, però, sfrutta a suo favore la situazione sottraendo con la forza il lasciapassare a Fracchia ed agendo così indisturbato.
Nella necessità, però, si fa sostituire da Fracchia.
Nascono, così, numerose situazioni comiche, come quelle tra la madre della Belva e Fracchia e la scena in cui quest’ultimo è costretto a fare una rapina al posto della Belva trovandosi però totalmente impreparato.
Il film si conclude con un tentativo della polizia di arrestare il criminale tramite un piano che prevede anche la collaborazione di Fracchia.
Lo scambio di persona, però, continua e, alla fine, vengono uccisi entrambi.
In paradiso però, Fracchia scoprirà che il prezioso lasciapassare è rimasto in possesso della Belva.
Così per il malvagio criminale c’è il paradiso mentre per l’eterna vittima Fracchia, scambiato per la Belva, c’è l’inferno.
Il punto di forza di quest'opera, la cui trama ruota intorno al protagonista in cui lo spettatore, per forza di cose, si riconosce, è l’autoironia, il prendere in giro l’uomo, le sue infelicità e i suoiproblemi.
Quella di Fracchia infatti è una vita sciatta: ha un lavoro che non lo appaga e una relazione con una donna brutta e che non dà frutti.
L’unica critica che possiamo fare sta nel finale, davvero banale, pesante e noioso, che rovina un film altrimenti eccellente.

martedì 2 febbraio 2021

La vera storia dell'avvelenata


Francesco Guccini
Raccontare la storia de L’Avvelenata è importante, non solo perché riguarda una delle canzoni italiane più belle di sempre, ma anche perché ci dice molto sul mondo della musica.
È  uno sfogo, un grido di insofferenza.
Guccini, in realtà, non voleva neanche includerla in un album ma limitarsi a suonarla dal vivo.
Nel 1974 ed esce Stanze di Vita Quotidiana.
Recensendo il disco nel 1975 sulla rivista Gong, un giovanissimo Riccardo Bertoncelli, stronca Guccini scrivendo che “se ne esce fuori con un disco all'anno, ma si vede che ormai non ha più niente da dire”.
La reazione è durissima.
Qualche mese dopo l’uscita dell'articolo, Bertoncelli viene a sapere che Guccini ha scritto una canzone su di lui.
Non solo: in un’intervista su Muzak, viene definito dal cantautore “uno che non capisce niente, uno di quelli che scrive ancora Amerika con la kappa”.
È a quel punto che Bertoncelli, spinto soprattutto dalla curiosità, decide di incontrare l’artista.
Guccini lo invita nella sua casa di Via Paolo Fabbri 43 e i due, finalmente, fanno conoscenza.
Con somma sorpresa di entrambi, scoprono di piacersi e di avere interessi in comune.
Ma il nodo deve venire al pettine.
Così, dopo i convenevoli, Guccini suona dal vivo L’Avvelenata a Bertoncelli, spiegandogli di averla scritta di getto, in treno, in reazione a quella recensione.
Quel pezzo era la goccia che aveva fatto traboccare il vaso di un periodo complicato, teso, in cui Guccini da “personaggio pubblico”, si sentiva trasformato in “prigioniero pubblico”. 
Dopo aver suonato L’Avvelenata, Guccini si propone di togliere il nome di Bertoncelli, ma il critico si rifiuta categoricamente, dicendo che ormai, dopo essersi conosciuti, quell’omissis non avrebbe avuto più senso.
In ogni caso, il cantante lo rassicurò che quella canzone non sarebbe mai finita su un disco.
La storia ci insegna che andò diversamente e che L’Avvelenata divenne il pezzo di punta di Via Paolo Fabbri 43.
La formazione è quella di tutte le altre composizioni dell’album, con Ellade Bandini alla batteria (quella cassa ovattata e leggera che dà al pezzo un ritmo andante e timidamente carico), Ares Tavolazzi al basso e lo stesso Guccini alla chitarra acustica.
Gli arrangiamenti, come recita il retro di copertina del 33 giri, sono “condotti da Pier Farri su idee musicali di F. Ceccarelli e Ares Tavolazzi”.