domenica 22 aprile 2012

Michael Ende e il teatro....

Trovandomi a riflettere sul perchè mi piace tanto il teatro e il cinema mi è tornato alla mente l'incipit del romanzo "Momo" scritto da un signore tedesco di nome Michael Ende nel 1973.
Visto che parole migliori per spiegarvelo credo di non poterle trovare ve le propongo:

Momo

Lontano lontano nel tempo, quando gli uomini si esprimevano con lingue tanto diverse da quelle attuali, già esistevano, sulle terre di clima caldo, grandi e magnifiche città.
Là si ergevano gli alti palazzi di re e imperatori, là si intersecavano larghe strade, vie anguste e vicoli tortuosi.
Là s’innalzavano i mirabili templi adorni di statue d’oro e marmo dedicate agli dei, là stavano sia i mercati dai molti colori dove si offrivano le merci di tutti i paesi conosciuti, sia le vaste armoniose piazze dove le genti convenivano per discutere sulle novità, per pronunziare discorsi o per stare ad ascoltarli.
E, soprattutto, là si trovavano i grandi teatri.
Erano molto simili ai circhi dei nostri giorni, salvo che erano totalmente costruiti con blocchi di pietra.
Le file dei sedili per gli spettatori, una sull’altra a gradinate, formavano come un vasto cono capovolto.
Viste dall’alto, alcune di queste costruzioni apparivano rotonde, altre ovali, mentre altre ancora erano a guisa di ampi semicerchi.
Si chiamavano anfiteatri.
Ce n’erano di grandi come gli stadi sportivi e di piccoli che a malapena potevano accogliere duecento spettatori.
Alcuni sfarzosi, abbelliti da colonne, sculture, decorazioni, altri semplici e disadorni.
Gli anfiteatri non avevano tetto e ogni cosa si svolgeva sotto il libero cielo.
Perciò nei teatri lussuosi si tendevano, sopra le gradinate, pesanti velari intessuti d’oro per proteggere il pubblico dalla vampa del sole o da un repentino acquazzone.
Nei teatri più modesti servivano allo stesso scopo delle stuoie di paglia o di giunco.
In breve, i teatri erano come la gente se li poteva permettere; però, ricco o povero che fosse, un anfiteatro doveva esserci per appagare la generale passione di guardare e ascoltare.
E mentre gli spettatori erano intenti ad ascoltare le vicende tristi o comiche rappresentate sulla scena, li prendeva la sensazione inesplicabile che quella finzione di vita fosse più vera della loro propria realtà quotidiana.
Ed essi gioivano nel porgere orecchio a quest’altra realtà.

Nessun commento:

Posta un commento