martedì 20 dicembre 2011

Il Gatto Di Schrödinger

Incuriosito da un racconto dello scrittore di fantascienza amricano Rudy Rucker pubblicato sulla Isaac Asimov Scinece Fiction Magazine che parlava di questo paradosso, ho fatto delle ricerche incrociate su Google sul gatto di Schrödinger.
Questo è quello che ne è venuto fuori.

Rudy Rucker
Le grandi rivoluzioni cui si è assistito nel mondo della fisica dei primi decenni del Novecento, ovvero l'affermazione del principio di relatività e l'introduzione della meccanica quantistica, hanno contribuito ad abbattere completamente le certezze su cui si fondava non solo l'intera fisica classica ma anche il senso comune.
Da una parte Einstein ci spiegava che l'immagine di un tempo e di uno spazio assoluti, tanto cara a Newton, non corrispondeva affatto alla realtà e costituiva invece l'approssimativa premessa ad una costruzione, la fisica newtoniana, appunto, valida solo in casi particolari e limitati: dall'altra il lavoro di Schrödinger, Bohr e altri apriva problemi ancora più fondamentali, concernenti il senso ultimo delle nostre conoscenze del mondo fisico e la possibilità di ottenere veramente una visione della realtà che ci circonda.
Probabilmente perché più 'immediata', pur nella sua indubbia complessità matematica, e più affascinante per il grande pubblico, pur non scevra da fraintendimenti e mistificazioni la relatività einsteniana è penetrata maggiormente nell'immaginazione della gente comune.
La meccanica dei quanti invece resta ancora oggi un 'terreno di caccia' per i soli specialisti, gli unici a poter padroneggiare efficacemente il suo formalismo matematico e a riuscire a visualizzare correttamente i suoi scenari apparentemente astrusi, in cui la sicurezza del concreto sembra lasciare spazio all'incertezza della probabilità.
Nemmeno la meccanica quantistica però può dirsi priva di aspetti che possano affascinare e sconcertare anche il profano, ed alcuni di essi sono stati efficacemente sintetizzati in aneddoti di grande presa: è il caso del famoso 'gatto di Schrödinger'.
Vediamo in dettaglio di cosa si tratta.
Schrödinger, faomoso fisico e matematico austriaco, immagina che un gatto venga posto in una scatola ermeticamente chiusa insieme ad un marchingegno composto di una fiala di veleno e un martelletto, azionato a sua volta dal decadimento di un atomo radioattivo.
Ora, il decadimento di un atomo radioattivo è un fenomeno sul quale siamo in grado di fornire previsioni esclusivamente probabilistiche, come il 'tempo medio di decadimento': all'atto pratico, ci è impossibile determinare a priori se e quando un certo atomo decadrà.
Nel caso proposto, il fatto che il veleno si sprigioni, uccidendo il gatto, a causa dell'azionamento del martelletto è quindi legato ad un evento che noi, dall'esterno, non possiamo prevedere: quello su cui il senso comune ci rende ragionevolmente certi è che, qualunque cosa sia successa all'interno della scatola, il gatto dopo un certo tempo T sarà o vivo come lo abbiamo lasciato o morto per avvelenamento.
Ed è proprio su questa asserzione così banale e apparentemente inconfutabile che la logica quantistica ci sconfessa.
Perché?
In meccanica quantistica ad ogni oggetto, sia esso un elettrone o un gatto, è legata una 'funzione d'onda'.
Quest'equazione, la cui complessità è proporzionale alla complessità dell'oggetto considerato e la rende virtualmente irrisolvibile per corpi discreti quali appunto un gatto, descrive interamente lo stato del sistema preso in esame, il fatto che si chiami 'funzione d'onda' è spiegato con il dualismo caratteristico della meccanica quantistica, che può considerare gli oggetti allo stesso tempo quali corpi o quali onde.
La funzione d'onda si presta a più soluzioni, una delle quali deve rispondere a quanto noi osserviamo: all'atto dell'osservazione, quindi, assistiamo al cosiddetto 'collasso della funzione d'onda', ovvero scartiamo tutte le soluzioni possibili fino a conservarne solo una, quella che descrive lo stato del sistema così come lo abbiamo osservato.
Nell'esempio del gatto, la funzione d'onda ad esso legata collassa nel momento in cui apriamo la scatola e prendiamo atto del fatto che l'animale sia o meno ancora in vita.
Fino a questo punto potrebbe sembrare che in realtà l'interpretazione quantistica della situazione non sia poi così distante da quella classica, limitandosi in fondo a descriverla in termini diversi ma sostanzialmente equivalenti. Il problema arriva quando cerchiamo di formulare delle ipotesi sullo stato del gatto prima di aprire la scatola: in questo frangente infatti la singolare conclusione a cui ci porta la meccanica quantistica è che il gatto è sia vivo sia morto!
Per capire come si può giungere ad una simile conclusione è opportuno ricordare che lo stato del gatto in meccanica quantistica è descritto solo dalla sua funzione d'onda, quindi da un'espressione matematica in cui non hanno peso considerazioni legate all'esperienza che noi facciamo del mondo reale e che ci consente di ritenere i due stati come autoescludentisi, morto o vivo: su questa base quindi la funzione d'onda semplicemente non contempla il proprio collasso prima dell'atto osservativo, e quindi fino a quel momento persiste una sovrapposizione completa tra gli stati possibili, morto e vivo.
L'esempio del gatto, pur utile in senso didattico, è evidentemente piuttosto difficile da accettare in toto, visto come sovverte radicalmente la nostra (presunta?) certezza di conoscere la realtà che ci circonda: per di più, l'utilizzo della funzione d'onda per descrivere un corpo discreto è poco utile ai fini pratici e difficilmente conciliabile con l'osservazione diretta.
Ben diversa è però la situazione che si trovano ad affrontare quotidianamente i fisici delle alte energie, alle prese con particelle infinitesimali sulle quali il senso comune non ha potestà alcuna e le cui proprietà possono perciò essere studiate senza i suoi pesanti condizionamenti: è in questi casi che le soluzioni della meccanica quantistica emergono in tutta la loro eleganza e credibilità.
Il gatto può quindi rimanere, relativamente… tranquillo, al pari della nostra fiducia nel senso comune per affrontare le situazioni della vita quotidiana.
Nei territori più aspri della fisica sperimentale però le cose cambiano, delineando scenari ben più curiosi ed esotici, con i quali forse un giorno dovremo nostro malgrado venire a patti, per scoprire forse che tutte le nostre certezze sul mondo 'reale' altro non erano che banali inganni...

mercoledì 14 dicembre 2011

Giovanna al rogo

Produzione: Teatro del Carretto
Adattamento e regia: Maria Grazia Cipriani
Scene e costumi: Graziano Gregori
Suoni: Hubert Westkemper
Luci: Angelo Linzalata, Fabio Giommarelli
Anno: 2011
Attori: Elsa Bossi, Giacomo Vezzani, Jonathan Bertolai, Nicolò Belliti
voce inquisizione: Dario Cantarelli

La presenza di un attore viareggino nonché caro amico nel gruppo che lo mette in scena, mi dà in questo frangente l'occasione di parlare di “Giovanna al rogo”, il nuovo spettacolo, molto bello e complesso, della nota compagnia teatrale toscana del Teatro del Carretto, che ha esordito il 9, 10 e 11 Dicembre al Teatro del Giglio di Lucca in Prima Nazionale.
Questa rappresentazione, il cui testo, scritto dalla regista Maria Grazia Cipriani, rilegge in chiave moderna gli atti del processo che ha portato alla condanna a morte come eretica di Giovanna D'Arco, vede, al centro di una scena circolare, creata da Graziano Gregori che ha curato anche i costumi, con quinte che sono formate da una serie di assi di legno nere che stanno a simboleggiare una gabbia mentale e fisica dalla quale la protagonista non uscirà se non da morta, la bravissima attrice Elsa Bossi vestire con grande partecipazione i panni della Pulzella d'Orléans che, catturata e affidata dagli inglesi alla chiesa, va incontro alla condanna a morte sul rogo con grande sofferenza ma al tempo stesso con estrema serenità, non rinnegando mai il suo credo e rivivendo il passato come allucinata e mistica ricapitolazione della propria esistenza.
Accanto a lei, dotati di una presenza scenica sopra le righe volta ad esaltare le crudeli figure dei carnefici, recitano Giacomo Vezzani, Jonathan Bertolai, Nicolò Belliti.
Completa il cast la voce ambigua e inquietante dell'inquisitore, registrata da Dario Cantarelli, che si manifesta come sottofondo radiofonico e si inserisce alla perfezione nell'onirica atmosfera sonora creata dal pluripremiato fonico Hubert Westkemper.
 La figura di Giovanna D'Arco che viene restituita da questa pièce, scevra da letture basate su interpretazioni, il più delle volte fantasiose o dettate dall’ideologia sorte intorno al personaggio: divenuto nel corso del Novecento oggetto di nuove attenzioni, sia dal punto di vista artistico, con le molte versioni che ci hanno lasciato di lei il cinema, la musica, il teatro sia in termini storici, con la sua santificazione, è quindi quella di una donna stretta dai vincoli della rigida società del tempo, tradita, perseguitata e arsa viva dai potenti che sente e soffre la condanna ormai prossima, e il tempo passato vissuto con grande trasporto.
Se proprio vogliamo fare una piccola critica a questo spettacolo è che la voce della protagonista in alcuni frangenti non è molto chiara e ben scandita.
Nonostante tutto, ciò non toglie minimamente fascino ad una rappresentazione, la cui atmosfera è resa magistralmente anche dalle luci di Angelo Linzalata e Fabio Giommarelli, avvincente che arriva a toccare parti profonde e intime, in modo drammatico, grottesco, ironico, ma sopratutto poetico.

venerdì 9 dicembre 2011

Ettore Petrolini

Ettore Petrolini
In queste poche righe vorrei ricordare Ettore Petrolini, grande attore comico, teatrale e cinematografico nato a Roma nel 1884 e morto nella stessa città nel 1936.
Il suo personaggio di romano cinico e sbruffone è tuttora attuale, non a caso un attore moderno come Gigi Proietti riprende spesso le sue scenette e le sue battute che mantengono inalterata la loro carica comica.
Sul palcoscenico Petrolini era un vulcano di doppi sensi, sfottò, parole storpiate e freddure, spesso inventate al momento in un rapporto molto diretto, a tu per tu, col pubblico.
La tradizione vuole che non abbia rinunciato alla battuta sarcastica nemmeno sul letto di morte: vedendo entrare il sacerdote con l'olio santo avrebbe mormorato: “Adesso sì che sono fritto”.
In questo contesto si parlerà di due dei suoi personaggi più famosi: Nerone e Gastone.
Nerone, imperatore romano, cialtrone arrogante e pieno di sé, è il protagonista di uno dei pezzi teatrali più famosi dell’attore romano.
Il testo è stato ripreso inoltre in un lungometraggio del 1930, “Nerone”, scritto dallo stesso Petrolini con la regia di Alessandro Blasetti.
Il film così come lo spettacolo è una satira non tanto velata di Mussolini e del regime fascista.
Nella scena più ricordata e citata, Nerone sta a casa sua e il popolo lo vuole morto perché ha incendiato Roma. Allora va alla finestra e fa un discorso per calmare gli animi.
Il popolo gli grida “bravo!” e Nerone risponde grazie.
E questo gioco del “bravo - grazie” si ripete più volte creando un effetto comico esilarante.
“Gastone”, nato invece da una macchietta, “Il bell'Arturo”, inserita nella rivista “Venite a sentire” del 1915, scritta da Petrolini in collaborazione con G. Carini, è un personaggio che poi fu ripreso più volte fino ad diventare il tragicomico protagonista della commedia omonima, rappresentata per la prima volta nel 1924 al teatro Arena del Sole di Bologna.
Si tratta di una satira, ironica ed amara, della società dello spettacolo degli anni '30 e dei personaggi meschini, avidi, invidiosi e gretti che vi fanno parte. Esemplare rappresentate di questo mondo di presunti artisti è il protagonista, appunto Gastone, istrionico e carismatico attore di varietà di infima categoria, dalla affabulante parlantina romanesca, squattrinato, dedito a mille vizi, corteggiatore di tutte le soubrette e ballerine, dai modi esagerati e teatrali ma fondamentalmente malinconico e solo.
Il personaggio di Gastone, il cui atteggiamento, un insieme di un modo di fare istrionico e di una presenza scenica esagerata, è divenuto uno stereotipo comico, è stato portato sul palco e sul grande schermo da alcuni grandi attori romani: al cinema ne fu interprete Alberto Sordi nel film di Mario Bonnard del 1959, mentre a teatro ne hanno vestito i panni grandi attori come Fiorenzo Fiorentini, Mario Scaccia, Gigi Proietti e Massimo Venturiello.