sabato 26 ottobre 2013

Nicaragua 1984

Soggetto, sceneggiatura, disegni, copertina: Riccardo Mannelli
Editore: Giorgio Sestili Editore
N° pagine: 62
Data d'uscita: Dicembre 1985
Prezzo: € 32,00

In anticipo di quasi trent'anni sul fenomeno del graphic journalism, "Nicaragua 1984", opera dell'artista toscano Riccardo Mannelli stampata da Giorgio Sestili Editore e distribuita da Edizioni Art Core, raccoglie un reportage disegnato che mette a nudo la situazione politica e sociale del paese centroamericano all'indomani delle prime elezioni democratiche che hanno avuto luogo in seguito agli avvenimenti ricordati dagli storici come rivoluzione sandinista.
Questo volume, che si apre con un'introduzione del giornalista Saverio Tutino, è costituito da un insieme di tavole, realizzate con la penna bic senza lesinare dettagli, che fotografano, tra povertà e guerriglia, la difficilissima realtà dei luoghi, visitati personalmente dall'autore a metà degli anni '80, dove ha attecchito l'ideologia patriottica nota come sandinismo.
A differenza della quasi totalità dei prodotti che sono stati fatti rientrare nella categoria del graphic journalism, "Nicaragua 1984" non è un vero e proprio testo a fumetti.
Il libro è composto infatti non da vignette che si susseguono ma da immagini disegnate accompagnate da brevi didascalie che talvolta formano una piccola narrazione ma più spesso contribuiscono a mostrare uno scorcio di un paesaggio o a rendere partecipe il lettore di una situazione particolare.
Nonostante si parli di un periodo crudo della storia centroamericana, il disegnatore pistoiese, con la narrazione al confine tra fumetto e illustrazione che lo contraddistingue, riesce a comunicare, oltre alla drammaticità degli eventi, l’atmosfera magica dei luoghi visitati, il calore dei personaggi incontrati, e l'assoluta autenticità delle sensazioni vissute.
Un'altra peculiarità di Mannelli poi, è quella di riuscire, grazie ad una trattazione della parte scritta arguta e distaccata, a focalizzare l'attenzione su storie di luoghi e persone e sugli avvenimenti descritti sebbene il segno che lo caratterizza, ricco di dettagli, potrebbe fare in modo di spostare l'interesse maggiormente sulla parte grafica che comunque si combina perfettamente con questi ultimi e dà all'opera un equilibrio tra testo e disegni non comune.
Alla luce di quanto detto quindi non si può che consigliare la lettura di questo libro, che smentirà tutti quelli che pensano che con il fumetto non si possano trattare argomenti di attualità in modo critico e costruttivo, sia agli amanti della storia contemporanea che a quelli della letteratura disegnata.

giovedì 24 ottobre 2013

Tetris

Quello di cui parlerò questo post è un videogioco che ho giocato fino allo sfinimento e a cui tutt'ora, quando capita, non disdegno di fare una partita.


Tetris è un videogioco a blocchi inventato il 6 giugno 1984 da Alexey Pazhitnov, un giovane ricercatore russo impiegato all'epoca per il Dorodnicyn Computing Centre dell'Academy of Science dell'Unione Sovietica a Mosca.
Lo scopo del gioco, basato sulla teoria dei tetramini, figure che si possono ottenere disponendo quattro quadrati, ciascuno dei quali ha almeno un lato in comune con almeno uno degli altri tre, è semplice: i pezzi cadono giù uno alla volta dall’alto senza mai fermarsi e il giocatore ha la possibilità di spostarli e ruotarli, per farli incastrare uno sull’altro disponendoli in righe continue orizzontali.
Quando una riga è completa scompare assegnando punti al giocatore.
Se uno dei pezzi rimane fuori dal bordo superiore del contenitore, quando ne arriva uno nuovo, il giocatore ha perso.
I sette possibili tetramini disponibili in Tetris sono chiamati come le corrispondenti lettere dell'alfabeto che più si avvicinano alla forma del pezzo: I, T, O, L, J, S, e Z.
Tutti i pezzi possono completare righe singole o doppie; I, L, e J possono completare anche righe triple e solo la I può completare quattro righe simultaneamente.
Quest'ultima situazione è chiamata un "tetris".

Tetramini

Vi possono essere alcune varianti a queste caratteristiche: ciò dipende dalle regole di rotazione e di punteggio di ogni specifico gioco di Tetris.
Numerosi scienziati, nel corso degli anni, si sono dedicati all'interpretazione analitica del gioco e alla definizione della sua complessità.
Il più noto documento di questo tipo è "Tetris is hard, even to approximate" (http://arxiv.org/abs/cs.CC/0210020) dei matematici Erik D. Demaine, Susan Hohenberger e David Liben-Nowell, pubblicato su Computer Science nel 2002.
È dimostrato che una partita di Tetris si conclude certamente con una sconfitta del giocatore, a meno che non sia prevista la vittoria per numero di righe completate, che quindi non può continuare a giocare all'infinito.
Infatti esiste un N tale che una sequenza di N pezzi S e Z, alternati, rende inevitabile la sconfitta.
Ma in una sequenza infinita casuale di tetramini prima o poi vi sarà un'alternanza di questo tipo e di questa lunghezza, rendendo certa la sconfitta del giocatore.


Per chi volesse provare a giocare una simpatica versione di questo gioco è presente al seguente link:
http://www.math.it/tetris/tetris.htm

Per chi invece volesse ascoltare il tema portante della colonna sonora del gioco:
http://www.youtube.com/watch?v=NmCCQxVBfyM

mercoledì 23 ottobre 2013

Bruno Bozzetto

La visione del breve cortometraggio d’animazione in Flash “L’Italia e l’Europa” postato su un gruppo di FB, mi dà in questo contesto la possibilità di parlare di colui che l’ha realizzato, Bruno Bozzetto.
Bruno Bozzetto è nato a Milano il 3 marzo 1938 ed è un animatore, autore di fumetti, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico, definito più volte da pubblico e critica il Walt Disney italiano.
Nella sua lunga carriera, che dura ancora oggi, ha realizzato tre lungometraggi animati e numerosi cortometraggi, molti dei quali vedono come protagonista il Signor Rossi, simbolo del cittadino italiano medio alle prese con il malcostume della società.
Il suo primo film è “Tapum! La storia delle armi” del 1958.
È del 1960 “Un Oscar per il signor Rossi”, primo cortometraggio ad avere per protagonista il Signor Rossi.
Nel 1965 esce “West and Soda”, parodia del genere western.
“Vip – Mio fratello superuomo”, remake in chiave comica del genere supereroistico, molto in voga all’epoca, risale invece al 1968.
Dopo questo secondo lungometraggio seguono tanti filmati pubblicitari per Carosello e cortometraggi comici e satirici.
Tra i suoi lavori, il più noto è forse il terzo film, “Allegro non troppo” del 1976, ispirato a “Fantasia” di Walt Disney, dal quale si distingue per un approccio più umoristico e mirato, nonché per i minori costi di realizzazione.
Qui la musica classica, più che generare immagine, fa da prestigiosa colonna sonora ad un montaggio di rapide sequenze.
Gli inframmezzi tra un’esecuzione e l’altra sono girati dal vero, con Maurizio Nichetti come protagonista.
Molti suoi cortometraggi sono stati inseriti nelle trasmissioni televisive di divulgazione scientifica curate da Piero Angela per la RAI.
Ha realizzato alcune sigle TV, ad esempio per Settevoci del 1966, e alcune campagne di sensibilizzazione sociale a partire dagli anni ottanta, ad esempio WWF, Sai guardare la TV?, Campagna contro il fumo, IMQ.
Tra i lavori più recenti c’è “Spaghetti family” serie d’animazione tutta italiana del 2003.
Attualmente Bozzetto è impegnato nella realizzazione di opere al computer che sfruttano l’uso di Flash, un software che consente di creare animazioni vettoriali.
Un bellissimo esempio di questa sua nuova attività è il breve cortometraggio animato che sfrutta questa tecnica, diffuso su internet e intitolato “L’Italia e l’Europa” nel quale il regista, ha saputo ancora una volta in modo semplice ed efficace illustrare con sarcasmo alcuni tratti della società italiana odierna.

Rango


Diretto da Gore Verbinski, regista di “The ring” e dei primi tre lungometraggi della saga “Pirati dei Caraibi”, sceneggiato da John Logan, che ha inserito nel film numerose citazioni di famosi capolavori del cinema di cow boy, e realizzato dalla Industrial Light And Magic, qui alle prese con l'animazione dopo numerosi ed eclatanti trionfi nel campo degli effetti speciali, “Rango” è un cartoon sui generis che si discosta in modo significativo dai consueti schemi con cui sono realizzate pellicole di questo tipo.
Lungometraggio di ambientazione western, molto ben realizzato, irriverente e divertente, narra le gesta di Lars, un camaleonte, con la passione per la recitazione, che sogna di essere un eroe.
Ma l'orizzonte di un terrario e il pubblico di una barbie senza testa né braccia e né gambe, un pesciolino di plastica e uno scarafaggio stecchito, non è adatto alle sue manie di grandezza.
Quando però la teca in cui vive viene sbalzata dall'abitacolo della macchina sulla quale viaggia, Lars, dopo una spassosissima passeggiata nel deserto del Mojave, si ritrova nella cittadina di Polvere, infestata da banditi e fuorilegge, e si vede costretto ad assumere, suo malgrado, il ruolo di Rango, pistolero infallibile le cui movenze ricordano il Clint Eastwood protagonista delle pellicole di Sergio Leone.
In questa veste riuscirà a salvare la popolazione di Polvere dalla siccità che attanaglia il villaggio e a coronare il suo sogno di diventare un eroe.
Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, la regia di Verbinski, che in questo frangente sembra alle prese con un film dal vero, è molto convincente e ricercata e il recupero del western, che passa anche attraverso l'evocativa colonna sonora curata da Hans Zimmer e le trovate visive di un direttore della fotografia competente come Roger Deakins, è molto congeniale a raccontare la storia di un insolito sognatore destinato a diventare una leggenda.
Altri particolari da mettere in evidenza poi, oltre alla forte connotazione stilistica di Johnny Deep, che nella versione originale gli presta anche la voce, presente nel protagonista sono: scenografie molto accurate, personaggi secondari ben caratterizzati sia graficamente che psicologicamente, citazioni che rivisitano tutti i luoghi comuni appartenenti alle varie epoche del cinema western e la tematica attorno alla quale si sviluppa tutta la trama filmica, la necessità, la disponibilità e lo sfruttamento dell'acqua.
Il tutto mescolato con brio, intelligenza, trovate comiche azzeccate e una sana vena cinica.
Concludendo possiamo affermare quindi che questo film, alternativa davvero valida alle pellicole del colosso Pixar, sia un prodotto davvero molto divertente che non predilige una sola tipologia di pubblico ma merita d'essere visto da tutti.

lunedì 21 ottobre 2013

Per un pugno di dollari

In questo post mi vorrei soffermare sul primo film di cui abbia un ricordo preciso, un'opera che mi ha fatto comprendere a pieno le potenzialità del media cinema.


Fare qualcosa di nuovo nel cinema è piuttosto "inusuale".
Grandi film come "Quarto potere", "Ladri di biciclette" e "Nashville", opere di geni che sono state fonte di ispirazione per moltitudini di registi più giovani, sono molto pochi.
"Per un pugno di dollari" appartiene di diritto a questa categoria.
Prima di questo film, infatti, regnava il western americano.
Nonostante ne fossero stati girati molti in Italia, questi non sembravano discostarsi molto da quelli statunitensi.
La situazione però cambiò dopo che "Per un pugno di dollari" fu realizzato.
Presto, infatti, molti registi si ispirarono alle tecniche di Sergio Leone e molti film di un nuovo genere che fu chiamato “spaghetti western”, uscirono in quegli anni nelle sale.
"Per un pugno di dollari" è quasi il rifacimento scena per scena del film di Akira Kurosawa "Yojimbo", conosciuto in Italia col titolo "La sfida del samurai".
La trama di questo lungometraggio parla di un samurai che arriva in una città lacerata da due bande di combattenti, appartenenti a due famiglie rivali.
Il samurai li mette gli uni contro gli altri, aiuta una famiglia a fuggire e alla fine distrugge quasi tuta la città e scappa con del denaro.
Cambiate il samurai con un pistolero, cambiate il villaggio giapponese con una piccola cittadina del west e avrete "Per un pugno di dollari".
Leone prende in prestito da Kurosawa anche i set affollati, la calma che pervade il film, l’uomo senza nome, l’uso della musica per rimpiazzare i dialoghi ed infine la fotografia lenta propria del regista giapponese.
Nonostante ciò, "Per un pugno di dollari" non è una semplice copia de "La sfida del samurai".
Il regista romano usa perfettamente le tecniche di Kurosawa, ma adotta anche elementi propri del suo stile: rapide zoomate, primi piani e occhi socchiusi.
Come western inoltre il film infrange un gran numero di regole.
Non ci sono indiani, l’uomo senza nome, grazie a dio, non suona la chitarra e non canta canzoni.
L’eroe buono del film, inoltre, è spietato e affamato di denaro come i cattivi e la sola differenza che esiste fra lui e quest’ultimi è che l’uomo senza nome risparmia gli innocenti.
Il film è più violento delle pellicole di quel genere che si erano visti fino a quel momento, Leone infatti, non sapeva che secondo le regole di Hollywood non era accettata la violenza nei film western e fece a riguardo ciò che gli sembrò opportuno.
È inutile dire che il risultato ridefinì le regole.
Protagonista, nel ruolo principale è Clint Eastwood, la cui apparizione in questo e nei due film successivi del regista romano gli conferì fama internazionale.
Quando decise di musicare "Per un pugno di dollari", Leone voleva ricorrere alla musica di Francesco Lavagnino che aveva lavorato con lui nel film Il colosso di Rodi.
Fortunatamente incontrò Ennio Morricone le cui sonorità lo interessarono.
E Morricone seppe ripagare la fiducia che Leone aveva riposto in lui.
Le colonne sonore dei primi western erano canzoni popolari americane sempre piacevoli e con voce vellutata.
La musica di Morricone invece, s’ispira pienamente allo stile western e sembra più musica folcloristica messicana.
Per la realizzazione del film Leone temeva che il pubblico americano non avrebbe mai guardato un prodotto girato in Italia.
Così sia lui che Ennio Morricone cambiarono il loro nome in Bob Robertson, figlio di Roberto Roberti, e Don Savio.
Questo film, contro le più rosee attese ottenne un gran successo e fu il primo di un genere, lo “spaghetti western” che crebbe rapidamente.